Recensione del film – Predator: Badlands (2025)

Recensione del film – Predator: Badlands (2025)

      Predator: Badlands, 2025.

      Diretto da Dan Trachtenberg.

      Con: Elle Fanning, Dimitrius Schuster-Koloamatangi, Rohinal Nayaran, Michael Homick, Stefan Grube, Reuben De Jong, Cameron Brown, Alison Wright, Matt Duffer e Ross Duffer.

      SINOSSI:

      Un giovane Predator, emarginato dal suo clan, trova un alleato improbabile nel suo viaggio alla ricerca del nemico supremo.

      Seppur possa suonare complementare per alcuni e dispregiativo per altri, Predator: Badlands di Dan Trachtenberg (il suo primo capitolo cinematografico ad alto budget dopo essersi riappropriato del franchise con l’eccellente Prey) avrebbe potuto essere un videogioco e probabilmente avrebbe ulteriormente eccelso in qualità e rendimento economico. Ci sono lunghi passaggi che danno l’impressione di essere a un passo dal cedere il controllo a un giocatore, o come se stessimo guardando qualcuno impegnato in uno scontro all’interno di una struttura open-world, con pericoli ambientali e carne da macello mostruosa a ogni angolo da affrontare con varie armi tipiche del Predator.

      Di nuovo, tutto questo non è una critica al film, ma una semplice osservazione. Anzi, la natura sovversiva del film e la soddisfazione diretta che offre, combinata con quel potenziale di diventare qualcos’altro, dovrebbe costituire un argomento serio a favore dell’idea che c’è molto di più da fare con il franchise oltre i film, magari anche sviluppare un videogioco a grande budget.

      Sì, Predator: Badlands è un’esperienza che mette al centro gli stessi cacciatori, focalizzandosi in particolare su Dek, il più piccolo del suo clan (qualcosa inconfondibile grazie a una performance davvero espressiva di Dimitrius Schuster-Koloamatangi nascosta sotto quello che devono essere diversi strati di trucco e prostetica impressionanti), emarginato dal padre e in missione su un altro pianeta per uccidere un behemoth mitico, dimostrando così il suo valore come guerriero e membro della famiglia. Forse non sorprende che Dek e i suoi fratelli maggiori siano stati cresciuti nella necessità della violenza e nell’esibizione di una forza fisica bruta, implacabile e spietata, senza rimorso.

      Quando Dek incontra e salva il sintetico Weyland-Yutani Thia, tagliato a metà (una delle due parti dei ruoli doppi di Elle Fanning, che le permettono di oscillare tra un divertimento da recitazione sopra le righe e una perfidia severa), dopo che lei lo convince che sarà uno strumento prezioso per trovare il behemoth che cerca, nasce un interessante contrappunto: il Predator studia ogni organismo vivente per imparare come combatterlo, mentre lei proviene da una convinzione nella coesistenza. Cerca di trasmettere a Dek la bellezza della sensibilità, ma il Predator non ne vuole sapere.

      Questo costituisce la portata della limitata profondità narrativa del film, che a volte porta lo spettatore a disimpegnarsi per la sua natura semplicistica. Non aiuta il fatto che, pur essendoci alcuni panorami e paesaggi indiscutibilmente suggestivi catturati in ampi campi gloriosi, talvolta con Predators che attraversano terreni pericolosi, il film è anche pervaso da CGI che ribadiscono l’idea che forse avrebbe funzionato meglio come videogioco.

      Dan Trachtenberg sa come coreografare sequenze di battaglia (soprattutto in questo franchise), ma qui spesso ciò avviene a una distanza emotiva, guardando un Predator combattere mostri CGI o essere infastidito da rami senzienti o da erba affilata come rasoi. È solo nel terzo atto, quando si sviluppano alcune poste chiare e Dek si trova ad affrontare numerosi sintetici (interpretati da veri attori), che l’azione acquisisce un senso di peso e gravità. Anche la classificazione PG-13 si rivela irrilevante, dato che qui ci sono metodi brutali per eliminare i nemici che i cineasti si permettono proprio grazie a quella tecnicalità.

      Alcuni aspetti veramente dannosi sono indubbiamente il risultato di interferenze dello studio, come una creaturina carina e minuta con cui gli eroi si alleano, pensata come un sostituto gradito ai dirigenti alla stregua di Grogu o Jar Jar Binks, qualcosa per i bambini facile da sfruttare commercialmente per ricavi collaterali. Inoltre, come la maggior parte dei film di franchise odierni, la storia si trasforma in una ragnatela di dinamiche familiari abusive e di famiglie trovate. In altre parole, questo sarà il film di Predator preferito da Vin Diesel. È allo stesso tempo una lettura fresca e così distante da ciò che aveva attratto il pubblico dell’originale che suscita sentimenti contrastanti su quanto viene mostrato. Considerando tutto ciò che abbiamo visto in questi film, il concetto di un Predator frainteso e eroico risulta moderatamente buffo, anche se l’esecuzione in larga parte qui funziona.

      Dan Trachtenberg (che lavora con lo sceneggiatore Patrick Aison) è ancora una volta parsimonioso nella narrazione ed efficiente nell’azione, ma dirigendo un’interpretazione unica della saga la sua arte appare sia influenzata dallo studio sia semplicistica. Predator: Badlands dà già la sensazione di guardare qualcuno giocare a un dannatamente buon videogioco su uno schermo IMAX. Ci sono anche ragioni per credere che funzionerebbe meglio così. Nel tentativo continuo di spremere di più da questa saga, si scopre che ci sono altri modi allettanti per farlo.

      Valutazione di Flickering Myth – Film: ★ ★ / Movie: ★ ★ ★

      Robert Kojder

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