
Recensione da Venezia: Lo straniero di François Ozon restituisce finalmente al romanzo di Albert Camus il giusto tributo cinematografico
Il premio Nobel Albert Camus è uno dei pensatori e scrittori più importanti della lingua francese, avendo creato personaggi e mondi assurdi che riflettono una visione dell'esistenza umana ancora inquietantemente unica. Il suo romanzo d'esordio Lo straniero ha avuto due notevoli adattamenti cinematografici dalla sua pubblicazione nel 1942: una volta per mano del maestro italiano Luchino Visconti (1967), più di recente ad opera del regista turco Zeki Demirkubuz (2001, con il titolo Fate). Finalmente un connazionale francese si è fatto avanti per riportare sul grande schermo le parole di Camus così come suonavano originariamente; non sorprende forse che si riveli la versione più fedele e ipnoticamente evocativa.
Presentato in concorso a Venezia, 58 anni dopo che il film di Visconti fece lo stesso, l'approccio di François Ozon al materiale apporta poche modifiche alla storia. Meursault (interpretato da Benjamin Voisin) è un giovane che vive nell'Algeria francese. Ha un lavoro d'ufficio, frequenta ristoranti locali e per il resto vive in disparte. Notiamo presto qualcosa di piuttosto strano in Meursault quando apprende della morte della madre. Dopo aver letto il telegramma con la brutta notizia, continua a fumare, si rade e va avanti con il resto della giornata come se nulla fosse accaduto. Il suo atteggiamento diventa ancora più stridente quando si reca alla casa di riposo rurale per partecipare alla sepoltura della madre. Tra gli abitanti in lacrime, il figlio della defunta non sembra solo perfettamente composto ma addirittura perplesso per le emozioni che osserva intorno a lui. Tornato ad Algeri, Meursault inizia una relazione con l'ex collega Marie. Quando entrambi si uniscono al vicino di Meursault nella casa al mare di un amico, un incontro con un uomo arabo si conclude con Meursault che uccide questo vero e proprio straniero. Nel processo che ne segue, giudice, giuria e spettatori cercano di capire il mostro insensibile che hanno davanti prima di emettere il verdetto sul suo destino.
La cosa più cruciale che il film di Ozon riesce a cogliere sono le considerazioni morali, anzi filosofiche, che sostengono il suo personaggio centrale. Per quanto tecnicamente impressionante fosse la versione di Visconti, alimentata dalla performance empatica e focosa di Marcello Mastroianni, essa operava su un fraintendimento fondamentale del testo. Meursault non è destinato a essere empatico o sanguigno; ogni volta che Mastroianni tira le corde del vostro cuore con quegli occhi sinceri e lacrimosi, si mina la visione gelida e quietamente scioccante di Camus. Demirkubuz ha corretto il tiro con la sua versione del 2001, ma forse ha sbagliato leggermente nella direzione opposta, facendo apparire il protagonista chiaramente antisociale se non francamente disturbato. Ciò che rende Meursault una creazione così notevole sta da qualche parte tra quegli estremi. Lungi dall'essere pazzo, è lucido, osservatore, capace di dibattiti intellettuali chiari. Allo stesso tempo rifiuta di condurre una vita guidata dai sentimenti, dalla fede o da codici etici consolidati. La sua relazione con Marie è fondata sull'attrazione fisica: la desidera pur ritenendo il concetto di amore privo di senso, e glielo dice apertamente. Non fa alcuno sforzo per difendersi in tribunale — non perché si rimproveri ciò che ha fatto, ma perché la prospettiva di essere giustiziato non gli sembra poi così terribile. Il momento della sua vera illuminazione arriva quando è seduto nella cella del condannato a morte, finalmente in sintonia con la «tenera indifferenza del mondo».
In larga parte grazie alla superba e calibratissima interpretazione di Voisin, Lo straniero coglie tutto questo nel modo giusto. Ad eccezione di una scena tardiva che coinvolge un cappellano, l'interpretazione di Voisin di Meursault è caratterizzata da estrema moderazione. Non alza mai la voce e il suo volto raramente tradisce emozioni evidenti. Eppure non c'è nulla di robotico o vuoto in questa recitazione. Si capisce che è informata da una comprensione del personaggio che va oltre la pagina. Nel modo ingenuo e distaccato con cui accetta di sposare Marie — non per amore, ma perché non gli importa né in un senso né nell'altro — si scorge l'assenza di crudeltà in un uomo le cui parole possono essere così dolorose. Quando Meursault è messo di fronte agli attacchi incessanti del procuratore in tribunale, lo sguardo fugace (non d'indignazione ma di confusione) rivela qualcuno quasi troppo innocente per questo mondo.
La regia di Ozon cattura la complessità di un testo che a prima vista sembra semplice. Da un lato ti mette saldamente dentro la testa del protagonista, offrendo una prospettiva intensamente soggettiva in prima persona; dall'altro, un senso di distanza e alienazione pervade il film. Questa sensazione di essere al contempo incredibilmente vicini e sempre a una certa distanza da ciò che accade ricrea magnificamente l'esperienza della lettura del capolavoro di Camus. Girato in elegante bianco e nero da Manuel Dacosse, Lo straniero ha un aspetto senza tempo, una qualità onirica che mantiene vigile lo spettatore. Su questo splendido scenario, la curiosa e a tratti minacciosa colonna sonora di Fatima Al Qadiri rafforza l'impressione che qualcosa non vada all'interno di questo paradiso fittizio.
L'unico elemento narrativo aggiuntivo che Ozon introduce nella sua trasposizione si concentra sulla sorella della vittima. Mentre il romanzo di Camus la dipinge piuttosto come una presenza passiva che inavvertitamente dà il via alla catena di eventi che porta all'omicidio, il nuovo film ci chiede, attraverso due scene brevi ma d'impatto, di considerare la sua versione dei fatti. L'ultima inquadratura del film, in particolare, richiama le tensioni razziali e colonialiste che ribollono sullo sfondo e aggiunge un altro strato silenzioso ed eloquente alle riflessioni di Camus sull'indifferenza e sulla futilità.
Lo straniero è stato presentato in anteprima al Festival di Venezia 2025.

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