6 film horror ambientati in una capanna che potresti esserti perso

6 film horror ambientati in una capanna che potresti esserti perso

      Casey Chong si avventura nei boschi per una selezione di film horror ambientati in capanna che potrebbero esserti sfuggiti.

      L’ambientazione della capanna nei boschi è un motivo ricorrente spesso visto nei film horror. E non è difficile capire perché persista ancora oggi. Include l’uso di spazi limitati per evocare paura, tensione e terrore in un’area isolata. Film popolari come The Evil Dead e il suo sequel, insieme ad altri come Cabin Fever, Misery e The Cabin in the Woods, hanno dominato il panorama horror per decenni. Ma alcuni film horror ambientati in capanna purtroppo passano inosservati, e qui ci sono sei titoli meno conosciuti che potresti non aver visto…

      247°F (2011)

      Realizzato con un budget di 650.000 dollari, l’esordio registico di Beqa Jguburia e Levan Bakhia vanta una premessa inquietante: immagina di ritrovarti intrappolato nella sauna della capanna senza via d’uscita, con la temperatura che sale gradualmente a livelli insopportabili. È esattamente ciò che accade a tre amici – Jenna (Scout Taylor-Compton), Renee (Christina Ulloa) e Ian (Travis Van Winkle) – dopo che il loro presunto weekend di piacere in una baita sul lago si trasforma in un incubo inatteso.

      247°F si concentra principalmente sulla paura a lenta combustione e sulla tensione psicologica più che sul consueto gore e violenza, sfruttando bene l’ambiente confinato della sauna per evocare una sensazione intenzionale di claustrofobia. Il film inserisce anche alcuni depistaggi, inclusa una menzione di un festival pagano, suggerendo che potrebbero esserci (o meno) elementi di folk-horror in gioco.

      Black Mountain Side (2014)

      Ecco un piccolo horror indipendente canadese poco visto che evoca l’orrore ansiogeno dell’isolamento e della paranoia che richiama The Thing di John Carpenter. La storia segue un team di scienziati stanziati in un avamposto remoto da qualche parte nell’Artico, dove scoprono misteriose strutture antiche sepolte nella neve. Come in The Thing, lo sceneggiatore-regista Nick Szostakiwskyj utilizza un approccio deliberatamente a lenta combustione per accumulare tensione. La paranoia si insinua gradualmente, prima che qualcosa di inspiegabile cominci a colpire gli scienziati uno dopo l’altro.

      E nonostante un budget esiguo, Szostakiwskyj riesce a sfruttare bene i pochi fondi per mettere in scena alcune sequenze davvero inquietanti e perfino cruenti. Senza dimenticare la fotografia atmosferica, unita alla sensazione di cabin fever e alla morbosità claustrofobica intrappolate in un ambiente isolato e gelido lontano dalla civiltà, senza comunicazioni esterne. Il fatto che i personaggi di Black Mountain Side affrontino la paura dell’ignoto e come la follia incomprensibile oltre la loro comprensione li mandi in rovina rende l’esperienza cinematografica davvero spaventosa.

      What Keeps You Alive (2018)

      What Keeps You Alive è un thriller psicologico teso che segue Jackie (Hannah Emily Anderson) e la sua nuova moglie, Jules (Brittany Allen), nella baita di famiglia di Jackie, situata nel profondo dei boschi. Quello che avrebbe dovuto essere un romanticissimo weekend per trascorrere del tempo di qualità insieme si trasforma presto in un implacabile gioco del gatto e del topo.

      Merito allo sceneggiatore-regista Colin Minihan per aver stabilito le dinamiche della relazione tra Jackie e Jules che ci permette di sentirci a nostro agio con questa adorabile coppia sposata. Poi Minihan ti toglie il tappeto da sotto i piedi con una rivelazione scioccante e da lì la tensione continua a salire fino al punto di rottura. Il film beneficia delle interpretazioni coinvolgenti di Anderson e Allen, mentre Minihan fa un buon lavoro nel sostenere il brivido e la suspense fondendo horror psicologico e survival per risultati per lo più avvincenti nella sua snella durata di 98 minuti.

      The Wind (2018)

      Prima che Emma Tammi ottenesse maggiore riconoscimento dirigendo Five Nights at Freddy’s, che diventò un grande successo al botteghino, aveva iniziato con il convincente The Wind. Mescolando western e horror soprannaturale ambientato alla fine del XIX secolo, il film segue Lizzy Macklin (Caitlin Gerard) e suo marito Isaac (Ashley Zukerman), che vivono in solitudine da qualche parte nella prateria del New Mexico. Poi arrivano i loro vicini, Emma (Julia Goldani Telles) e Gideon (Dylan McTee), con cui presto diventano amici.

      The Wind può risultare confuso poiché Tammi predilige una narrazione non lineare, costringendo gli spettatori a stare al passo e a restare concentrati su ciò che avviene nel corso del film. Può apparire come un espediente, ma è comprensibile perché Tammi abbia adottato questo approccio narrativo per creare un effetto disorientante che rispecchia la crescente paranoia e solitudine di Lizzy. L’isolamento prolungato le compromette la mente fino al punto di subire un crollo psicologico? O si tratta di un atto indicibile di forze soprannaturali? Tammi non dà risposte semplici, facendo affidamento sul potere dell’ambiguità per intensificare l’atmosfera e la tensione con un disegno sonoro evocativo e l’uso strategico del silenzio.

      Always Shine (2016)

      Sophia Takal, che avrebbe poi diretto il sfortunato remake di Black Christmas, ha fatto un lavoro migliore nel low-budget indie Always Shine tre anni prima. La storia ruota attorno a due amiche, Beth (Caitlin FitzGerald) e Anna (Mackenzie Davis), che si ritirano a Big Sur per un weekend in una baita. Entrambe sono attrici: la carriera di Beth sta prendendo slancio, mentre Anna fatica ancora a ottenere un ruolo.

      Il viaggio dovrebbe servire a farle riconnettere, ma viene gradualmente alimentato dall’odio e dalla gelosia. L’ambientazione isolata della baita è una tela ideale per far emergere l’angoscia a lenta combustione e la tensione che circondano il conflitto tra Beth e Anna. Aiuta anche la recitazione, in particolare l’interpretazione coinvolgente di Mackenzie Davis nei panni di Anna, la cui invidia crescente verso il successo di Beth la rende tossica e insicura.

      The Ritual (2017)

      The Ritual segue un gruppo di amici (Rafe Spall, Arsher Ali, Robert James-Collier e Sam Troughton) che fanno un’escursione nella natura selvaggia scandinava in onore del loro amico defunto. Poi uno di loro si ferisce a una gamba, costringendoli a prendere una scorciatoia attraverso i boschi. Si rivela un grande errore quando scoprono simboli di stampo pagano e, a un certo punto, la carcassa eviscerata di un animale appesa agli alberi. La loro camminata nella foresta li porta infine a una capanna remota e, invece di trovare un riparo temporaneo, inizia l’incubo che comincia a tormentare ciascuno di loro.

      Tratto dall’omonimo romanzo di Adam Nevill, The Ritual incorpora un’ansia minacciosa che deriva dalla paranoia, dalle allucinazioni e da elementi di folk-horror che fanno perdere lentamente la sanità mentale ai personaggi. Il regista David Bruckner, che aveva già diretto The Signal e il segmento Amateur Night di V/H/S, si affida all’atmosfera per stabilire un orrore più psicologico che fatto di immagini truculente in faccia allo spettatore.

      Quali sono i vostri film horror ambientati in capanna preferiti? Avete altri suggerimenti per questa lista? Fatecelo sapere sui nostri social @FlickeringMyth…

      Casey Chong

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