
Recensione di Marcello Mio: Chiara Mastroianni onora il padre in una meta-satira sdentata
La famigerata copertina del numero di dicembre 2022 del New York Magazine dichiarava che Hollywood è nel bel mezzo di un "Nepo Baby Boom", ma questo fenomeno non è limitato all'industria cinematografica americana. Ne è un esempio la satira interna al baseball senza risate di Christophe Honoré, Marcello Mio, un film che avrebbe potuto essere invertito dal titolo di quell'articolo - "Ha gli occhi di sua madre... e il suo agente!" - prima ancora che qualche attore disposto a interpretare una caricatura di se stesso avesse accettato di firmare. Questo ingrato compito è affidato a Chiara Mastroianni, una precedente collaboratrice di Honoré che, vista la pochezza generale della sceneggiatura, si potrebbe supporre non l'abbia mai incontrato prima delle riprese, visto il modo in cui i due affrontano il tema della cultura della celebrità con i guanti da bambino da entrambi i lati della macchina da presa.
Questa versione romanzata di Chiara è un fallimento che non è riuscito a sfuggire all'ombra dei suoi genitori (Catherine Deneuve, sua madre, qui sonnambula nel suo ruolo di supporto), in particolare del padre Marcello Mastroianni, la cui eredità di protagonista incombe sulla sua mancanza di successo nei decenni successivi alla sua morte. Durante le riprese di un ruolo da non protagonista per la regista Nicole Garcia, che era stato proposto dalla Deneuve, l'attrice raggiunge un punto di rottura quando le viene detto che è stata scritturata solo in base al presupposto che sarebbe stata in grado di interpretare le scene nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto suo padre. Vedere il suo fantasma nello specchio del bagno una notte le fa venire un'epifania: se non può raggiungere la grandezza alle sue condizioni, perché non mettersi letteralmente nei panni del padre e diventare l'attore che tutti vogliono che sia? Purtroppo, non sembra intenzionale da parte della Mastroianni junior che la sua interpretazione non trovi mai profondità al di là del costume di scena, non riuscendo a offrire una prospettiva autentica sul perché un'attrice proveniente da una rinomata dinastia di attori abbia un rapporto così complicato con la sua eredità. Honoré mette in scena un sacco di omaggi di superficie al catalogo storico dell'attore, ma la sua passione per le opere di Mastroianni non equivale a un approfondimento: il suo film è superficiale come la Fontana di Trevi. Le goffe allusioni a Fellini e De Sica sarebbero perdonabili se il lavoro drammatico che le circonda avesse un qualche peso satirico, ma Marcello Mio sembra completamente ignaro dell'attuale momento culturale, in cui la mancanza di vie d'accesso all'industria ha reso i bambini famosi facili bersagli. In effetti, prendere di mira le banali preoccupazioni dei bébés népotiques non sembra essere passato per la mente di nessuno dei partecipanti al progetto, che tratta le difficoltà di Chiara come artista con una sincerità priva di tono. L'ironia della sorte è che, per far sì che il pubblico possa investire adeguatamente nelle ansie del personaggio, che teme di non essere rispettato a meno che non diventi un clone di suo padre, il film deve prenderle molto meno sul serio e mostrare un po' di autoconsapevolezza sul perché gli spettatori considerino questo un problema del primo mondo. La premessa è intrinsecamente ridicola, ma Honoré non si diverte: per tutta l'insopportabile bizzarria in mostra, affronta l'idea come se si trattasse di un'esposizione strappalacrime sulla lotta dell'artista per riuscire a definire il proprio lavoro alle proprie condizioni. Questo rende i frequenti intermezzi magico-realisti, come l'amicizia intermittente con un soldato britannico della NATO di stanza a Parigi (Hugh Skinner), una pillola difficile da digerire.
Il film sembra almeno in parte consapevole della ridicolaggine di questa storia, ma non si spinge oltre, beatamente non volendo riconoscere o anche solo comprendere il modo in cui qualsiasi spettatore percepirebbe l'inesistente "problema" di avere un genitore famoso. C'è un'intrinseca disconnessione tra i professionisti del settore che raccontano questa storia e il pubblico a cui questi dilemmi sembreranno banali, se non del tutto estranei. Se il film non riesce a prendersi gioco della cultura del nepotismo, allora non potrà che essere un'opera autoindulgente, pensata per essere apprezzata solo da chi è talmente avulso dalla realtà da risultare una satira esplosiva, di livello Substance, su come le donne siano tenute a standard impossibili nell'industria dello spettacolo, piuttosto che una parodia più pungente di un artista privilegiato. C'è una buona idea per una satira divertente; forse potrebbe essere realizzata solo da un team creativo più lontano dallo stimato mondo rappresentato. Marcello Mio esce in sala venerdì 31 gennaio. Voto: D+
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