Grandi thriller degli anni 2010 che potresti aver perso

Grandi thriller degli anni 2010 che potresti aver perso

      Casey Chong con sette thriller degli anni 2010 che potresti aver trascurato…

      Gli anni 2010 vantano una ricca produzione di thriller acclamati, da Prisoners di Denis Villeneuve a Gone Girl di David Fincher e Shutter Island di Martin Scorsese, per citarne alcuni. Ma come in ogni genere, alcuni thriller sono stati o sottovalutati o ingiustamente criticati al loro debutto, risultando nel mancato raggiungimento del pubblico che meritano. Detto ciò, ecco la nostra lista selezionata di sette grandi gemme del cinema thriller degli anni 2010, che vale la pena scoprire se non l’hai già fatto…

      Stoker (2013)

      Park Chan-Wook, salito alla ribalta con la trilogia Vengeance (Sympathy for Mr. Vengeance, Oldboy e Sympathy for Lady Vengeance), ha debuttato nel cinema di lingua inglese con Stoker, scritto da Wentworth Miller. Sì, lo stesso Wentworth Miller che interpreta Michael Schofield in Prison Break. La vicenda si addentra nell’angolo contorto della famiglia, in un oscuro segreto e in un risveglio sessuale, elementi tipici dello stile di Park. Il film si svolge lentamente, con ritmo deliberato, concentrandosi sull aftermath della morte del padre di India (una Mia Wasikowska perfettamente glaciale e socialmente distaccata) (Dermot Mulroney) fino all’arrivo misterioso di uno zio (Charlie di Matthew Goode) che lei non ha mai conosciuto.

      Stoker è il tipo di thriller a lento bruciare che si insinua gradualmente, crescendo in tensione. Pur potendo mancare di quell’originalità e audacia evidente in alcune opere sud coreane di Park, nel suo primo film hollywoodiano non si è risparmiato, mantenendo un’atmosfera gotica con un tocco hitchcockiano nel suo storytelling furtivo, fino a spinare il climax nel terzo atto, più violento.

      Killer Joe (2011)

      Basato sull’omonimo spettacolo teatrale del 1993 di Tracy Letts, William Friedkin, all’età di 76 anni, ha diretto Killer Joe, ma non ha affatto ammorbidito il suo stile in questa fase finale della carriera. La sua regia pratica e diretta rimane intatta mentre esplora le viscere della natura umana, tra soldi, greed e omicidio. I personaggi qui non sono affatto simpatici, dal poliziotto-giustiziere-rivoluzionario interpretato da Matthew McConaughey, alla famiglia Smith, composta da Emile Hirsch, Juno Temple, Thomas Haden Church e Gina Gershon.

      Il film è nihilista fino in fondo e Friedkin non si tira indietro nel mostrare quanto una persona possa essere depravata. A un certo punto, c’è una scena di fellatio scomoda che ti farà guardare un pezzo di pollo fritto allo stesso modo per sempre. Killer Joe rappresenta un ritorno alla forma per Friedkin nel suo late career, anche se l’argomento dark e disturbante ha forse convinto troppo poco il pubblico, causando un flop al botteghino.

      99 Homes (2014)

      Questo film, poco visto e criminalmente trascurato, diretto da Ramin Bahrani che ha anche scritto la sceneggiatura, si immerge in tutto ciò che riguarda pragmaticamente la crisi del 2008 che scosse il mercato immobiliare statunitense. Essenzialmente un dramma di sfratto ma realizzato come un thriller teso, è affliggente fin dalla prima scena vedere Rick Carver, interpretato da Michael Shannon, un operatore immobiliare che non esita a sfrattare i locatari in difficoltà. Tra questi c’è Dennis Nash (Andrew Garfield), che ha perso il lavoro come operaio edile e, per di più, lui, suo figlio (Noah Lomax) e sua madre (Laura Dern), sono costretti a lasciare la casa dopo che non sono riusciti a saldare il mutuo.

      Bahrani cattura con successo l’ansia di un proprietario frustrato come Dennis e anche la presenza di Garfield dà profondità al suo personaggio. Ma è Michael Shannon a rubare la scena nel ruolo dell’efficiente operatore che si interessa solo di fare il suo lavoro e guadagnare soldi sfrattando le famiglie. Il film affronta senza paura la disumanizzazione della legge e del capitalismo contro le persone impotenti che perdono le loro case. Potrebbe essere un soggetto molto deprimente, ma va riconosciuto a Bahrani di non averlo reso troppo deprimente, mantenendo il film sempre intrigante e coinvolgente.

      Under the Silver Lake (2018)

      It Follows ha lanciato David Robert Mitchell come uno dei registi horror più promettenti, ma invece di un altro horror, il suo seguito vede lo scrittore-regista optare per un improbabile territorio neo-noir thriller. Tuttavia, non c’è nulla di convenzionale nella sua narrazione intrisa di mistero, preferendo giocare sulla libertà in Under the Silver Lake. Il film, a tratti troppo lungo e che avrebbe beneficiato di una salutare limata, è impossibile negare l’ambizione che Mitchell ha infuso nella sua opera.

      La trama segue Sam (Andrew Garfield, una delle sue performance migliori finora), un fannullone disoccupato che preferisce spiare la sua sexy vicina Sarah (Riley Keough). È così ossessionato da lei che la sua misteriosa sparizione lo spinge a trovarla a tutti i costi. Con il progredire della storia, si trasforma lentamente in un labirinto complicato di teorie cospirative e bizzarri eventi. Il film sicuramente non è per tutti, specie per il tono straniante che si rivela troppo divisivo per la maggior parte degli spettatori.

      Killing Them Softly (2012)

      Dopo The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford, Andrew Dominik si riunisce con Brad Pitt in un thriller crudo, Killing Them Softly. Pitt interpreta Jackie Cogan, un sicario della mala che viene incaricato da un criminale di alto livello, Driver (Richard Jenkins), di risolvere un problema. Il problema riguarda due piccoli criminali (Scoot McNairy e Ben Mendelsohn) e il loro capo (Vincent Curatola), che hanno rapinato un poker protetto dalla mafia. Dominik avrebbe potuto optare per una tipica storia di mafia, alla Scorsese, ma ha scelto di sovvertire le aspettative del pubblico, facendo di Killing Them Softly un film che riflette sull aftermath del colpo fallito e commenta in modo mordace le elezioni presidenziali del 2008 e la crisi finanziaria.

      Il film è decisamente dialogato, e questo potrebbe non piacere a chi cerca un ritmo più veloce. Tuttavia, si distingue per l’acuto umorismo nero, la satira cinica e la prospettiva generale di cinismo sul mondo criminale. Non va dimenticato il regista, che sa maneggiare bene le scene di rapina mafiosa e, in un momento, un balletto in slow motion alla Peckinpah di violenza armata. Gli attori sono di livello, in particolare il ruolo carismatico di Pitt come il sicario dal modo particolare di uccidere.

      Enemy (2013)

      Denis Villeneuve esplora dualismo e crisi d’identità in Enemy, con Jake Gyllenhaal in una delle sue performance più contenute e coinvolgenti finora. Interpreta anche un doppio ruolo: un insegnante di storia universitaria, Adam Bell, e un attore, Anthony Claire. Hanno un aspetto sorprendentemente simile, che suscita la curiosità di entrambi di sapere di più l’uno dell’altro. Sin dall’inizio, Villeneuve stabilisce un tono surreale evocando una sensazione costante di paura, immerso in un filtro giallo cupo che riflette gli stati mentali dei personaggi.

      Il film ha anche l’aspetto e il tono di un enigma alla Lynch, con immagini inquietanti e una narrazione da sogno febbrile. Il motivo ricorrente delle tarantole, in particolare le vedove nere, viene usato come simbolismo inquietante che rappresenta tutto, dalle paure e ansie personali a un senso profondo di intasamento, come nel sentirsi bloccati in un vicolo cieco.

      Cam (2018)

      Netflix ha i suoi alti e bassi con una vasta libreria di titoli mainstream e indipendenti. E di tanto in tanto, puoi scoprire un gioiellino nascosto come questo, chiamato Cam. Prodotto sotto l’etichetta Blumhouse Productions, è facile pensare che sarà un film esclusivamente exploitativo sulla cam girl (Alice di Madeline Brewer), che cerca disperatamente di raggiungere la vetta delle classifiche sul sito FreeGirlsLive.

      Ma Daniel Goldhaber, al suo debutto come regista di un lungometraggio, approfondisce il mondo oscuro del sesso online e del furto d’identità, insieme al pericolo della tecnologia deep-fake, in particolare con l’introduzione inquietante del doppio di Alice. La tematica attuale colpisce nel segno, grazie alla regia coinvolgente di Goldhaber, che ha lavorato sulla sceneggiatura acuta di Isa Mazzei, ex cam girl.

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