Recensione del film Eddington (2025)

Recensione del film Eddington (2025)

      Eddington, 2025.

      Scritto e diretto da Ari Aster.

      Con Joaquin Phoenix, Pedro Pascal, Luke Grimes, Micheal Ward, Deirdre O’Connell, Austin Butler, Emma Stone, Matt Gomez Hidaka, William Belleau, Clifton Collins Jr., Cameron Mann, Amélie Hoeferle, Landall Goolsby, Elise Falanga, King Orba, Rachel de la Torre, David Pinter, Keith Jardine, David Midthunder, Christine Hughes, William Sterchi e James Cady.

      SINOSSI:

      Nel maggio del 2020, un confronto tra uno sceriffo di una piccola città e il sindaco scatena una polveriera mentre il vicino si confronta con l’altro a Eddington, nel New Mexico.

      Con Eddington, Ari Aster, continua ad allontanarsi sempre di più dalle sue radici horror; tuttavia, affrontando direttamente il picco delle rivolte civili durante la pandemia, questo è forse il suo film più spaventoso fino ad ora, ma anche quello che si muove ancora su temi esplorati in tutta la sua filmografia. È anche incredibilmente divertente, a seconda di come ci si pone riguardo a ciò che dovrebbe o non dovrebbe essere sfruttato per comicità.

      L’obbligo delle mascherine ha recentemente colpito la piccola città del New Mexico titolare, e lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix di nuovo in modalità piagnucolosa e triste, anche se questa volta deciso a fare qualcosa a riguardo con una serie di scelte disastrose) non ci sta. Anche il suo cognome sembra scherzoso, come se il personaggio preferisse essere inchiodato a una croce piuttosto che osservare qualcuno negato l’ingresso in un negozio per non aver indossato una mascherina, o essere lui stesso soggetto a tale normativa. Il suo matrimonio con Louise (Emma Stone) e la vita domestica con lei e sua madre, Dawn (Deirdre O’Connell), sono anch’esse in disordine, poiché sono più attratti da teorie complottiste quadrate piuttosto che dal suo punto di vista.

      Quel vuoto, combinato con la rivalità con il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal), che sembra di sinistra per convenienza come ciocca di scena per la sua pianificata costruzione di un impianto di dati basato sull’IA, apparentemente fa scattare qualcosa dentro di lui, portandolo a prendere una decisione impulsiva, fermato dalla sua auto di pattuglia, di andare sui social media e annunciare che si candiderà a sindaco. È una storia autodistruttiva vecchia quanto il mondo, resa ora più moderna e attuale che mai.

      E per quanto Eddington sia diretto nel confrontarsi con il 2020, affronta anche in modo ampio la radicalizzazione, cercando il limite, i momenti o le dinamiche che causano una frattura nella realtà di qualcuno e lo portano a perdere il senno, facendo delle controversie meno importanti la sua intera identità. Per Joe, la sua vita ha raggiunto il punto più basso di sempre, e questa controversia sono le mascherine. Naturalmente, Eddington stesso va fuori controllo (in modo complementare) in modi puramente Ari Aster, ma anche qui sembra un abbinamento perfetto considerando che si tratta, tecnicamente, di un'opera ambientata in un periodo (il che non significa che non sentiamo ancora gli effetti di cose come il COVID) su tempi, purtroppo, estremamente interessanti. A questo punto si può affermare che, tra i registi moderni, nessuno gestisce un simile improvviso cambio di tonalità con una tale energia, un ritmo esplosivo e che stringe il petto come lui, che mantiene il controllo del materiale anche quando sembra sfuggirgli di mano come un colpo di pistola.

      Tuttavia, questa non è solo una storia su Joe; è, come già detto, anche sui tempi stessi, siano essi attivisti che protestano contro l’ingiustizia razziale, qualcosa che raggiunge il punto massimo quando si diffonde la notizia sconvolgente della morte di George Floyd. Anche menzionare brevemente quell’argomento sfiora l’esasperazione grottesca; eppure, allo stesso tempo, un’altra domanda pesa: come fa un regista a portare il film a quel punto senza riconoscere quella tragedia? La risposta semplice potrebbe essere “non fare il film”, e questa è una convinzione valida.

      Per Joe, è più un fastidio che gli impedisce di concentrarsi sulla sua piattaforma politica incredibilmente sciocca e divertentissima all’infinito.

      Ari Aster porta anche questa situazione nel suo stile satirico, come già il resto del film, con personaggi prevalentemente bianchi che pronunciano ogni genere di sciocchezza, culminando in un taglio rapido in una casa di un adolescente/giovane adulto, che ripete la stessa retorica del vittimismo che crede farà 1) la differenza e 2) più importante, lo aiuterà a conquistarsi latimite le simpatie di una ragazza di cui è interessato, portando a un’altra discussione completamente diversa sulla triste, ma vera, manipolazione diffusa dell’alleanza per la giustizia sociale come una sorta di maschera alternativa.

      Eddington affronta anche le azioni atroci che alcune persone sono disposte a commettere per ottenere il controllo o vincere le elezioni, spesso agendo in mala fede e usando ragionamenti avventati come giustificazione morale. Nel caso di Joe, uno dei suoi ufficiali di fiducia è anche un uomo nero, Michael Ward, un uomo posizionato tra il suo lavoro e il suo coinvolgimento nel movimento BLM, che potrebbe anche aver avuto rapporti inappropriati con la stessa ragazza (suppostamente 18 anni) di cui l’attivista fasullo si innamora. Poi c’è Louise, che è non solo furiosa all’idea che l’ingresso di Joe nella corsa sindacale possa, per associazione, portare sotto i riflettori la sua storia di abusi sessuali (perché tutto, in questa politica di sangue amaro, diventa argomento), ma anche inizia a cadere sotto il suo incantesimo di lavaggio del cervello da parte di un plumcake pseudo-intellettuale interpretato da Austin Butler, che trova su Internet (il fenomeno del brainrot sui social media ha il suo peso, anche se, per fortuna, non in modo così evidente come ci si aspetterebbe da un film come questo), che la hypnotizza facendola credere di poter curare il suo dolore e risvegliare ricordi nascosti e illuminazione spirituale.

      Dire che tutto ciò sia destinato a collidere in un modo o nell’altro sarebbe riduttivo: la domanda è come. E Ari Aster eccelle nel trattenere gli spettatori qui, sia attraverso i personaggi bizzarri ma radicati e frammentati, sia attraverso uno specchio distorto, da Casa dei Fantasmi, con negozi di armi chiamati Gunther’s Guns (o qualcosa di simile), che ricorda la Ammu-nation di Grand Theft Auto, una tensione da brivido (potenziata dai collaboratori frequenti di Aster, The Haxan Cloak e il sempre eccellente Daniel Pemberton) che fa un uso magistrale delle ambientazioni polverose, sia nelle conversazioni che nelle scene d’azione (grazie al veterano della fotografia Darius Khondji), e la consapevolezza cupa e deprimente che, anche se tutto è molto realistico, la vita nel 2025 si è soltanto fatta più folle, ora con l’IA che incombe, assorbendo dati.

      Eddington, tuttavia, non è soltanto il film per l’epoca della pandemia; in un’epoca in cui la proibizione e la distruzione di libri sono diventati motivi di preoccupazione, abbiamo bisogno di film come questo, come intrattenimento folle e come capsula temporale romanzata. Probabilmente diventerà un testo senza tempo, usato dalle generazioni future per analizzare la follia collettiva di un momento cruciale che ha segnato il punto di rottura della società. Speriamo solo che, con il tempo, il corso delle cose si inverti.

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