Un gioiello trascurato di Noirvember: The Hit
Diamo uno sguardo a un gioiello sottovalutato e trascurato che probabilmente non avete visto: The Hit di Stephen Frears…
Con Noirvember che volge al termine e dopo che tutti hanno senza dubbio gustato le più raffinate delizie del film noir e del neo-noir, c’è tempo per infilare un’altra raccomandazione, una che merita piena attenzione.
Negli anni ci sono stati numerosi film che sono passati sotto il radar, che avrebbero meritato maggiore attenzione o un seguito da cult. Alcuni lo hanno ottenuto. Solo per i film di criminalità, si può pensare al lucido, snello e deliziosamente semplice The Limey di Soderbergh, che ha visto Terence Stamp tornare a un terreno familiare ottenendo non scarsa lode. Oppure si può guardare all’adorazione e alle citazioni parola per parola dei fan di qualcosa come Sexy Beast. Questi film hanno catturato l’attenzione e si sono distinti per cinefili e persino per qualche spettatore mainstream.
Un film che solo più recentemente sta ottenendo il suo riconoscimento (in non piccola parte grazie a una release in Blu-ray Criterion nel 2020) è The Hit. Un film neo-noir su killer/gangster del 1984, piuttosto piccolo, quasi sgangherato ma di grande stile.
Ecco il punto: è un film di Stephen Frears dei primi anni, un uomo spesso associato a splendidi film britannici da premio Oscar come The Queen, ma che in realtà ha un curriculum piuttosto eclettico, spaziando in diversi generi e livelli di budget. The Hit ha come protagonista Terence Stamp nei panni di un criminale in pensione che si nasconde in Spagna dopo aver tradito i suoi datori di lavoro un decennio prima. Il suo passato lo raggiunge quando due sicari (John Hurt e il suo protetto, Tim Roth) lo rapiscono, intenzionati a consegnarlo al grande capo a Parigi affinché Willie Parker (Stamp) venga giustiziato.
È una trama semplice con una durata contenuta che viene spinta avanti dalla cifra creativa di Frears, con la vivacità e lo slancio di un bravo chitarrista flamenco. Presenta anche una colonna sonora interamente di chitarre, che si apre con un tema iniziale (blues) a cura di Eric Clapton, prima che il resto del film opti per tocchi di flamenco (Paco de Lucía) per dare ai paesaggi spagnoli polverosi e alle lunghe strade la sensazione di un western. Mi considero un appassionato di cinema, ma questo film mi era sfuggito fino a qualche recente cenno qua e là (è riapparso in un video della serie Criterion Closet e in alcuni articoli sui gioielli nascosti, se ricordo bene). Ora è trionfalmente apparso su Amazon Prime (UK) per essere visto.
È al livello di Sexy Beast o The Limey, o di altri thriller criminali smart, low-tech e senza fronzoli (a basso budget) diventati cult dagli anni ’80 in poi? Forse non al livello dei primi, ma sicuramente dà filo da torcere all’altro film di Stamp sul gangster di mezza età. La differenza è che, mentre in The Limey Stamp porta un’energia da miccia pronta ad esplodere, un uomo con cui non si scherza, il suo Parker qui è qualcuno di più riflessivo e filosofico.
Frears, lavorando su una sceneggiatura di Peter Prince, gioca con l’idea che Parker stia cercando di provocare i suoi carcerieri, aspettando il momento perfetto per fuggire. Li provoca davvero, cercando di mettere un cuneo tra il sicario più anziano e disilluso e il suo protetto, un po’ sempliciotto e futuro successore. Parker sembra anche in pace con la sua inevitabile fine. Il passato lo ha raggiunto; scappare di nuovo probabilmente sarebbe inutile, ma è davvero così rassegnato al suo destino come sembra?
Quindi, a sostegno di questo road movie neo-noir sugli assassini, oscuro e vagamente comico, troviamo questa riflessione non solo da parte di Parker ma anche del sicario stoico di Hurt che è a un punto di rottura nella sua carriera. Un omicidio di troppo, un lavoro di troppo, e si ripete, ancora e ancora. Roth scoppia di energia nel ruolo del chiassoso aspirante che ha molto da imparare sul controllare gli impulsi e sul pensare in anticipo. Frears mette tutto questo in un viaggio efficiente di posta in gioco e ostacoli crescenti, specialmente una volta che prendono in ostaggio involontariamente Laura del Sol, una giovane donna spagnola che parla a malapena inglese e che diventa una distrazione inevitabile, occasionalmente focosa, guidata dall’istinto di sopravvivenza, tra i due sicari.
A quel punto della carriera, Frears aveva molta esperienza soprattutto in TV, ma non altrettanta nei lungometraggi. Aveva già realizzato un altro noir un po’ dimenticato (Gumshoe) nel 1971, con Albert Finney. Eppure, un po’ come Scorsese con After Hours o Cape Fear, sembrava un regista affermato che girava un film tematicamente forse semplice e si divertiva sul serio. È un approccio molto idiosincratico con ottimo posizionamento in scena, un uso della macchina da presa talvolta dinamico e improvvisazioni alla maniera di un musicista jazz. Il risultato è un cinema contagiosamente energico.
Con un restauro piuttosto buono che ora ha, insieme al suo cast stellare, è auspicabile che Frears e soci ottengano un po’ più di riconoscimento per questo gioiello sottovalutato. Potrebbe darsi che, in quel periodo, almeno nel cinema britannico, il filone crime/gangster avesse perso un po’ di smalto. Non tendono neanche a trovarsi al centro dei grandi premi (anche se Roth ottenne una candidatura ai Bafta come miglior esordiente). Questo film non viene menzionato nelle conversazioni di genere quanto altri come The Long Good Friday, per esempio. Ora, quelle immagini imperfette e ruvide che danno personalità alla vicenda, insieme ad alcune belle scene notturne, risultano più impressionanti con la lucentezza in HD derivante dal restauro di Criterion.
Per quanto riguarda i compianti grandi Stamp e Hurt, è anche una vetrina perfetta per due attori con uno stoicismo così caratteristico. Tanta enigmatica e silenziosa carisma dipinta sui loro volti segnati (soprattutto Hurt). Potrebbe anche essere l’epitome perfetta di un tipo di film che si fa raramente oggi, con i direttori del casting che preferiscono la perfezione estetica e volti immacolati nei protagonisti. Tutto ciò va bene se sotto la superficie perfetta c’è grande presenza e carisma, ma cavolo, guardare un film guidato da Stamp e Hurt con una presenza scenica così naturale mi fa rimpiangere un’epoca del cinema in cui bisognava essere estremamente coinvolgenti; oggi sembra mancare sia questo tipo di attori sia sceneggiature sfumate per farli lavorare.
Gli appassionati del noir britannico ambientato in luoghi stranieri d’effetto vorranno sicuramente dare un’occhiata a questo film. Forse, un tempo visto come un cult perduto in attesa, The Hit potrebbe finalmente trovare il suo culto, e se devo indossare un mantello, inventare una stretta di mano segreta e guidarlo, così sia.
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Tom Jolliffe
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