
Recensione del Sundance: By Design è uno sguardo stimolante sui poveri e i cafoni
Offrendo una svolta al genere del body-swap, il Sundance Next entry By Design di Amanda Kramer sembra, a prima vista, più adatto al palcoscenico o alla galleria che al cinema. È una storia sul lusso, l'invidia e la nostalgia, con un tono asciutto che richiede pazienza, ma che non offre un'esperienza gratificante al di là della metafora a cui continua a fare riferimento: il risentimento è come bere del veleno e aspettare che l'altra persona muoia. Per i personaggi c'è una certa paura di perdersi e di diventare semplicemente un altro pezzo di arredamento. Quando la voce narrante (Melanie Griffith) non è più in grado di fornire le giuste informazioni espositive, il film passa alla danza: Juliette Lewis interpreta Camile, una donna al verde che pranza con le amiche Lisa (Samantha Mathis) e Irene (Robin Tunney) prima di andare a fare shopping in un esclusivo negozio di mobili che vende sedie uniche. Camile si fissa su una sedia che potrebbe o non potrebbe essere in vendita e si impegna a mettere in ordine le sue finanze prima di tornare al mattino. Ma è troppo tardi: Martha (Alisa Torres) regala la sedia al suo ex fidanzato Oliver (Mamoudou Athie), un pianista squattrinato che si ritrova ad accettare ingaggi a caso nonostante, ci dice subito la nostra voce narrante, "non sappia come fare soldi" e "imparerà a comprare quando sarà importante quello che c'è in saldo". Come una parodia del lusso senza gusto, By Design incanala una scialba pubblicità di moda. Mi è venuto in mente Unexpected Wonders di Bulgari, lo spot "cinematografico" diretto da Paolo Sorrentino con Zendaya e Anne Hathaway che ha preceduto le proiezioni del Toronto International Film Festival (e che poi è tornato a perseguitarmi mentre vedevo un film all'iPic). Giocando con i fili delle pubblicità di alta moda, il film è a tratti efficace come commedia surreale sulla forma rispetto alla funzione, mentre Camile fantastica e alla fine diventa la sedia oggetto del desiderio suo e di Oliver. Era dai tempi del film d'esordio dei fratelli Duplass, La sedia gonfia, che a un mobile del genere non veniva attribuita una tale importanza sullo schermo.
La voce fuori campo asciutta di Griffith, i dialoghi in cui i personaggi si interrogano disinteressatamente l'un l'altro e le performance piatte e di design fanno pensare a una pubblicità di moda di due ore o a un'installazione da galleria. Forse questa poteva essere la forma migliore per il film, che si discosta da quello che sembra un contenuto di marca per un marchio aspirazionale. I personaggi sono allo stesso tempo depressi e raffinati, e si aggrappano alla forma piuttosto che alla funzione. Come dice Scott Galloway, professore di marketing alla NYU, "Tutto alla fine diventa Hermès o Walmart", e nel processo By Design riduce goffamente Camile a una merce che aspira a essere un bene di lusso ben fatto. Metafore contorte a parte, By Design è allo stesso tempo impegnativo e ambizioso nel suo uso di un design fisico e sonoro scarno. Le inquadrature sono spesso vuote, rappresentano la realtà piuttosto che replicarla, quasi come se si trattasse di una performance presentata in un teatro a scatola nera. Nel migliore dei casi si tratta di un esperimento ipnotico, anche se sembra essere situato nella propria bolla di individui che aspirano e copiano il benessere. Ispirato all'oggettivazione, By Design, per sua stessa natura, mette alla prova la pazienza degli spettatori attraverso la precisa regia di Kramer e la controllata messa in scena, disegnata da Grace Surnow e fotografata da Patrick Meade Jones; purtroppo, la sfida non è mai gratificante. Forse è proprio questo il punto: il lusso aspirazionale vende la carne, non la bistecca. By Design è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2025. Voto: C
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