
Recensione del raccolto: Athina Rachel Tsangari rappresenta splendidamente il passato e il presente
Nota: Questa recensione è stata pubblicata originariamente come parte della nostra copertura della Mostra di Venezia 2024. Harvest uscirà nelle sale cinematografiche il 1º agosto e arriverà su MUBI l'8 agosto.
Un villaggio senza nome, un tempo sconosciuto; da qualche parte in Gran Bretagna, in un periodo imprecisato del Tardo Medioevo, qualcosa sta per finire. Harvest di Athina Rachel Tsangari rappresenta il crepuscolo di un vecchio ordine sociale, ma non piange un paradiso perduto. Sarebbe un paragone troppo semplicistico per una regista il cui lavoro ha sempre saputo intrecciare l'allegorico con il politico, come nelle costruzioni di genere in Attenberg o Chevalier. Nove anni dopo quest'ultimo, la regista greca torna al lungometraggio con un adattamento dell'acclamato libro di Jim Crace, omonimo, facendo di Harvest il suo terzo film e il primo ambientato in un periodo storico.
La stagione del raccolto si presenta con caldi gialli (campi), vivaci verdi (prati) e profondi blu (il lago). Tra tutte queste bellezze, troviamo Walter Thirsk (Caleb Landry Jones), un abitante del villaggio i cui occhi vivaci e pelle pallida possono ingannare: è così profondamente immerso in questo mondo naturale—i suoi cicli, il verde, l'erba—che la macchina da presa lo vede come un'estensione del suo ambiente. Sean Price Williams ha realizzato le riprese di Harvest in modo incantatorio, mantenendo il suo consueto dinamismo riservato ai volti e agli avvenimenti umani, ma trasponendolo su paesaggi e rituali del villaggio con una tenerezza inconfondibile ritrovata in panoramiche, zoom e primi piani.
Nel corso del film, scopriamo che, nonostante tutto, Walter non è originario di questa terra. Di fatto, lui e il sindaco Charles Kent (un vulnerabile Harry Melling) erano amici d'infanzia cresciuti in una città. Quando Kent si sposò con sua moglie ormai scomparsa, prese possesso delle terre e delle fattorie, mentre Walter si innamorò di una donna locale e rinunciò al suo ruolo di servitore. Questo contesto è importante per contestualizzare i personaggi, ma sono espressivi anche senza troppi dettagli. Forti legami tengono insieme il villaggio, malgrado qualche pettegolezzo e sospetto occasionale, e sono evidenti nei rapporti tra di loro. La linearezza è sorprendente, non solo perché il signor Kent è charitable, ma anche per il suo dolore palpabile—come se la sua defunta moglie vivesse ancora attraverso le persone.
Ma i semi del progresso (e del progressismo) sono già stati piantati e la beatitudine pastorale è stata interrotta. Da un lato, un gruppo di stranieri viene catturato, umiliato e legato a una gogna come capri espiatori per un incendio recentemente scoppiato; dall'altro, le terre comuni vengono privatizzate. Harvest non cita esplicitamente la legislazione che nel 1604, in Inghilterra e Galles, modificò le terre aperte e comuni (l'Enclosure Act), ma ne rappresenta la più ampia transizione dall'agricoltura all'industrializzazione. Conoscendo il lavoro e il mordente politico di Tsangari, non sorprende vedere un mondo sgretolarsi (simbolicamente) nel corso di appena una settimana, con poca o nessuna nostalgia. La sentimentalità non è ciò che interessa alla regista greca, ma i suoi film sono sensibili e profondamente premurosi, specialmente nei confronti dei personaggi imperfetti.
Con una sceneggiatura adattata da Tsangari e dal candidato all'Oscar Joslyn Barnes, Harvest rimane molto fedele alla sua fonte principale, fatta eccezione per il fatto che fa di Walter il protagonista in ogni momento: la sua voce fuori campo è scarsa, ma guida, e soprattutto le sue azioni silenziose di osservazione sono misurate solo dagli occhi scintillanti di Landry Jones che lo collocano al centro. Le emozioni complesse al cuore di questo film (un apprezzamento anti-nostalgico per la perdita) sono rese più palpabili nelle scene condivise da Walter con un cartografo interpretato da Arinzé Kene. La semplice presenza di mappe anticipa il nuovo concetto di proprietà, redditività e colonialismo, ma ci sono anche mappe che tracciano il territorio come se fosse un essere vivo e animato. Quando Walter vede per la prima volta una di queste mappe, la confronta con la magia, ammaliato dal villaggio e dai suoi dintorni.
Proprio come una fetta di terra rappresentata su una mappa può influenzare una persona, Harvest crede nel potere del cinema di ri-innamorare il mondo. Ci sono molte scene che ricordano il grande umanesimo di Terrence Malick (sia nel tono che nelle immagini), ma Tsangari fa molto di più di quanto possano catturare qualsiasi confronto. Le transizioni non sono mai facili da riassumere e solo in retrospezione si può darne un senso storico, ma fortunatamente Harvest (né il libro né il film) si muove a livello di umanesimo e micro-storia, evocando la sensazione che sia possibile abitare un passato perduto—anche per poco—come se fosse un mito, prima che la cruda realtà sovrastasse il nostro presente e il nostro futuro.
Harvest ha debuttato alla Mostra di Venezia 2024.
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Nota: Questa recensione è stata originariamente pubblicata come parte della nostra copertura di Venezia 2024. Harvest uscirà nelle sale il 1° agosto e arriverà su MUBI l'8 agosto. Un villaggio senza nome, un tempo sconosciuto; da qualche parte in Gran Bretagna, in un periodo che potrebbe essere il Tardo Medioevo, qualcosa sta per finire. Harvest di Athina Rachel Tsangari vede il tramonto di