10 thriller erotici dimenticati degli anni ’80
Casey Chong presenta una selezione di thriller erotici dimenticati degli anni Ottanta che meritano di essere riscoperti…
Gli anni Novanta possono essere considerati il decennio in cui il genere del thriller erotico ha invaso il mercato, non solo nel cinema mainstream ma anche nella distribuzione direct-to-video. Ma non dimentichiamo il decennio precedente – gli anni Ottanta – con esempi notevoli come Dressed to Kill e Body Double di Brian De Palma che vale la pena menzionare. E altrettanto importanti sono titoli come Body Heat, The Postman Always Rings Twice e American Gigolo.
L’era del thriller erotico degli anni ’80, ovviamente, ha avuto il suo picco con Fatal Attraction di Adrian Lyne, con Michael Douglas e Glenn Close, quest’ultima protagonista di un’interpretazione indimenticabile e ancora ricordata oggi. Ma sotto i titoli più riconoscibili e famosi si nascondono molti altri thriller erotici che non hanno goduto di molta pubblicità o sono passati sotto silenzio. Ecco quindi i 10 thriller erotici meno conosciuti degli anni Ottanta…
Perfect Strangers (1984)
Che cosa succede se un bambino di due anni che parla a malapena è testimone di un omicidio? Questo è il presupposto di Perfect Strangers, dove il bambino (Matthew Stockley) vede Johnny (Brad Rijn), un sicario della mafia, accoltellare mortalmente una persona in un vicolo. Sebbene Johnny non consideri il bambino una minaccia, il boss mafioso lo mette comunque sotto pressione, chiedendogli di corteggiare la madre (Anne Carlisle), guadagnarsi la sua fiducia e poi approfittare dell’occasione per uccidere il bambino. Non ci vuole una scienza esatta per capire dove porterà la vicenda. Tra Johnny e la madre del bambino sboccia poi una storia d’amore, completa di una scena di sesso stilizzata, che è servita come uno dei primi precursori del boom dei thriller erotici degli anni Novanta.
Perfect Strangers beneficia della perfetta personalità da cattivo tormentato di Rijn, che contrasta bene con il personaggio più riservato interpretato da Carlisle. Il film può risultare forse un po’ lento per un thriller erotico, ma lo sceneggiatore-regista Larry Cohen riesce comunque a far emergere il suo carattere registico incorporando un tema di emancipazione femminile visto dal punto di vista del personaggio di Carlisle e sfruttando l’ambientazione di New York per conferirle un’atmosfera ruvida ma credibile.
Night Games (1980)
Il veterano regista Roger Vadim non è estraneo al genere erotico, avendo diretto icone internazionali del sesso come Brigitte Bardot in And God Created Woman e Jane Fonda in Barbarella. Lo fa di nuovo nell’altrimenti sottovalutato Night Games, che vede la allora esordiente Cindy Pickett nel suo primo ruolo cinematografico. Interpreta Valerie, una donna sessualmente riservata ancora tormentata dal suo passato traumatico – un audace cambio di carriera rispetto ai suoi giorni nelle soap opera di Guiding Light. Il suo matrimonio con il ricco marito Jason (Barry Primus) è frequentemente ostacolato da una vita sessuale insoddisfacente, soprattutto quando Valerie è perseguitata da ricorrenti flashback dell’aggressione sessuale subita.
Il film prende una svolta quando Jason parte per un lungo periodo, lasciando Valerie da sola nella villa. Un persistente senso di paranoia, unito a varie fantasie sessuali, comincia a riempirle la mente, permettendo a Vadim di giocare con diversi stili visivi e di costume, dagli anni ruggenti a una scena in cui viene sedotta da un misterioso uomo mascherato in un costume da uccello. Con Denis Lewiston alla direzione della fotografia, Vadim conferisce a Night Games uno stile visivo caratterizzato da un morbido fuoco.
The Trap a.k.a La Gabbia (1985)
Una riunione che si trasforma in un orrore masochistico in The Trap, che segue un uomo d’affari americano (Michael Parker, interpretato da Tony Musante) che vive con la sua fidanzata Hélène (Florinda Bolkan) in Italia. Le cose si complicano quando Michael si ricongiunge con la sua ex amante, Marie (Laura Antonelli), con cui aveva avuto una relazione più di dieci anni prima. Fedele al suo titolo, il film è principalmente un chamber piece che si svolge nei confini di un appartamento chiuso a chiave. Questo è particolarmente vero dopo che il ricongiungimento iniziale di Michael con Marie prende una piega completamente diversa quando quest’ultima decide di tenerlo in ostaggio.
Co-sceneggiato da Lucio Fulci, che doveva dirigere il film ma fu costretto a rinunciare dopo aver contratto l’epatite, il film non si sottrae alla natura perversa della storia, poiché Marie vuole disperatamente prendere il controllo di lui sia sessualmente che psicologicamente. Oltre agli elementi erotici ricorrenti, la storia esplora anche il peso psicologico ed emotivo che può segnare profondamente una donna come Marie, abbandonata dall’amante, portandola a una vendetta ossessiva. Il film arriva persino ad aggiungere un triangolo amoroso conflittuale e bizzarro tra Michael, Marie e la figlia adulta di quest’ultima, Jacqueline (Blanca Marsillach).
The Drifter (1988)
Il vecchio consiglio “non dare mai un passaggio a un autostoppista” assume un approccio sovversivo in The Drifter, titolo che si riferisce al personaggio interpretato da Miles O’Keeffe, che si fa chiamare Trey. La storia segue una stilista emergente, Julia (Kim Delaney, prima del successo in NYPD Blue), mentre torna a Los Angeles da San Francisco. Lì, riluttante, soccorre un bel autostoppista che l’aiuta a cambiare una gomma. La sua decisione porta a un’avventura di una notte, che non finisce bene quando torna a Los Angeles. Trey non smette di chiamarla: da affascinante incantatore diventa uno stalker ossessivo.
The Drifter giova della performance coinvolgente di Delaney come protagonista vulnerabile intrappolata in uno scenario ad alto rischio, dove la sua vita è in pericolo sotto la continua minaccia del vagabondo titolare. Anche il personaggio di Trey merita una menzione per il suo ruolo misterioso come autostoppista persistente con un’agenda apparentemente nascosta. Ma ciò che rende questo film distinto è il modo in cui lo sceneggiatore-regista Larry Brand, che appare anche come investigatore privato Morrison, sovverte le nostre aspettative in questa storia apparentemente lineare su uno stalker come Trey che prende di mira la indifesa Julia.
Half Moon Street (1986)
Il genere del thriller erotico sarebbe la cosa meno prevedibile se associata a Sigourney Weaver. Negli anni ’80 la sua carriera era in grande ascesa, passando dal successo mainstream (Ghostbusters, Aliens) a opere acclamate dalla critica come The Year of Living Dangerously e Gorillas in the Mist. Poi c’è Half Moon Street, che dimostra la versatilità dell’attrice nel interpretare una studiosa con un dottorato che fatica economicamente con un lavoro poco retribuito, al punto da avere difficoltà a pagare l’affitto.
I tempi disperati richiedono misure disperate: è disposta a unirsi a un’agenzia di accompagnatrici dopo aver ricevuto una lettera anonima contenente una videocassetta. Il nastro promuove i vantaggi lucrativi del lavoro di escort, spingendola a provare. Da qui, il regista e co-sceneggiatore Bob Swaim mescola più generi, oscillando tra thriller erotico e una complicata storia d’amore tra il personaggio della Weaver e un membro ricco della House of Lords, interpretato da Michael Caine, con un tocco di intrigo politico. Il risultato può essere stato un misto, ma le performance sopra la media di Weaver e Caine riescono a tenere tutto insieme.
Thief of Hearts (1984)
Prodotto sotto l’etichetta di Don Simpson e Jerry Bruckheimer, non sorprende che Thief of Hearts abbia un look lucido con l’estetica cupa e stilosa tipica degli anni Ottanta. Scritto e diretto da Douglas Day Stewart, noto soprattutto per la sceneggiatura di An Officer and a Gentleman, la storia ruota intorno a Scott (Steven Bauer), un ladro professionista che si associa con l’amico Buddy (David Caruso, prima del successo in NYPD Blue, in un perfetto ruolo di supporto scompensato) per derubare la casa di una coppia benestante.
Tra gli oggetti rubati c’è un diario appartenente alla moglie interior designer, Mickey (Barbara Williams), che contiene parole sulle sue fantasie sessuali. Il diario incuriosisce Scott, che comincia a corteggiarla fingendosi l’amministratore delegato di una ditta di forniture scolastiche. Bauer e Williams stanno bene insieme, sprigionando abbastanza fascino e tensione sessuale tra questi due attraenti sconosciuti che alla fine si innamorano. Il film è anche notevole per la fotografia atmosferica di Andrew Laszlo, che dona un tocco neo-noir distintivo, mentre Harold Faltermeyer aggiunge una colonna sonora lussureggiante ma evocativa che riflette la passione ardente del film.
The Surrogate (1984)
Chi ha vissuto gli anni ’90 probabilmente conosce il nome di Shannon Tweed, un punto fermo dell’erotica da B-movie che inondò il mercato video all’epoca. Ma già prima degli anni Novanta, Tweed aveva iniziato la sua carriera nel 1984 con il poco visto thriller erotico canadese The Surrogate. Lei non interpreta però il personaggio titolare, ruolo che spetta a Carole Laure, che offre un’interpretazione seducente di Anouk Van Derlin. Quest’ultima si dimostra esperta nell’uso di una terapia sessuale non ortodossa per aiutare coppie in difficoltà come Frank (Art Hindle) e Lee (Tweed). La coppia in questione soffre di un matrimonio senza sesso, in cui inizialmente entrambi non si sentono a proprio agio nel confidare i loro problemi a una sconosciuta come Anouk.
The Surrogate può essere stato relativamente moderato rispetto agli standard di Tweed, soprattutto se confrontato con le sue produzioni degli anni ’90. Ma è difficile negare la tensione sessuale sottostante che guida il film, grazie alla mano esperta alla regia di Don Carmody nel genere. Tweed mostra efficacemente un mix di intensità drammatica e sessuale nel suo ruolo, mentre Laure crea un perfetto contrasto con la moglie repressa di Lee, come terapeuta sessuale non convenzionale che non ha paura di infrangere le norme per “aiutare” i suoi clienti.
Call Me (1988)
Il titolo salace può sembrare uno di quei thriller erotici usa e getta che spuntavano durante gli anni ’80 e ’90, ma il debutto alla regia di Sollace Mitchell mescola efficacemente volgarità e intrigo in questo Call Me migliore del previsto. La storia segue la giornalista Anna (Patricia Charbonneau – potreste ricordare l’attrice per la sua interpretazione dirompente in Desert Hearts o per un ruolo non accreditato come “RoboCop Technician” in RoboCop 2), che riceve una serie di telefonate oscene da uno sconosciuto. Inizialmente pensa sia il suo fidanzato, Alex (Sam Freed), ma non è lui a chiamarla, lasciando Anna a indovinare l’identità del chiamante perverso che ama parlare sporco. Potrebbe essere il carismatico ma letale Jellybean (Stephen McHattie)? O forse il suo migliore amico Bill (Boyd Gaines), o persino il suo editore, Sam (David Strathairn, in uno dei suoi ruoli iniziali)?
La sceneggiatura di Karyn Kay fa un buon lavoro incorporando diversi depistaggi per farci indovinare, anche se la sottotrama noir – quella che ruota attorno ai soldi scomparsi – sembra un diversivo narrativo eccessivo. Call Me funziona meglio quando rimane concentrato sulla costruzione della natura erotica della storia, inizialmente rappresentata da Anna che non si sente a suo agio con le telefonate oscene, per poi diventare sempre più eccitata dalla voce dall’altra parte della linea con il progredire del film. Il momento clou include l’uso intimo di un’arancia, e va dato credito anche a Charbonneau per la sua performance ipnotica.
The Girl in a Swing (1988)
La personalità enigmatica di Karin, interpretata da Meg Tilly con un marcato accento tedesco, guida questa combinazione di mistero con elementi erotici e soprannaturali, adattata dal romanzo omonimo di Richard Adams del 1980. Il succo della storia ruota intorno ad Alan (Rupert Frazer), un mercante di antichità che si innamora di una giovane ragazza tedesca (Tilly) mentre è in viaggio d’affari a Copenaghen. Si sposano, ma Karin è costantemente perseguitata da un passato traumatico e da un profondo segreto che Alan cerca di comprendere.
The Girl in a Swing può risultare un’esperienza frustrante a causa di uno stile narrativo ambiguo che ti fa interrogare sul perché, cosa e come, con il mistero tenuto sotto chiave. Domande più numerose delle risposte, eppure è difficile negare i solidi temi metaforici di ossessione e colpa che permangono nel film. Ciò che davvero tiene insieme il tutto è la performance complessivamente avvincente di Tilly, il cui senso di ignoto affascinante all’interno della natura erratica del suo personaggio la rende ancora più interessante da guardare.
Crimes of Passion (1984)
Il titolo dal sapore exploitation vede il regista Ken Russell, non nuovo alle controversie, spingere i limiti nella rappresentazione del lavoro sessuale attraverso gli occhi di China Blue (Kathleen Turner), una prostituta specializzata in feticismi. Non c’è edulcorazione né romanticizzazione in questo tema tabù: China Blue non è vittima delle circostanze né lo fa per disperazione economica. Invece, il personaggio di Turner, che di giorno è una fashion designer e di notte lavora come sex worker, le consente di affermare dinamiche di dominio e potere sui suoi clienti. Il film segue la sua routine in cui veste ruoli per soddisfare varie fantasie sessuali e l’eccitazione del travestimento, dal partecipare a un concorso di bellezza al diventare una “vittima di stupro”, e in un punto si impegna in un’attività provocatoria di S&M, completa dell’infamante uso di un manganello.
Turner dà il tutto per tutto in Crimes of Passion – una performance audace come poche nella sua carriera. È sostenuta da un cast di supporto solido, in particolare Anthony Perkins in una performance sopra le righe e disturbata nei panni di un reverendo che frequenta i peep show e ha una particolare ossessione per China Blue, cercando di “salvarla” dal peccato. Russell ha occhio per atmosfere al neon da incubo febbrile che stabiliscono un tono unico tra surrealismo e onestà pragmatica relativa al sesso e all’ossessione. Crimes of Passion può essere stato posizionato come un mix di neo-noir e thriller erotico, ma il film eccelle anche nel sovvertire le convenzioni di genere incorporando una commedia nerissima e un dramma psicologico popolato da personaggi moralmente ambigui.
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Casey Chong
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