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Pools (2025) - Recensione del film
Pools, 2025.
Scritto e diretto da Sam Hayes.
Con Odessa A’zion, Ariel Winter, Mason Gooding, Michael Vlamis, Francesca Noel, Tyler Alvarez, Suzanne Cryer, Stan Adams, Lucinda Johnston, Kyle Anderson, Israel Idonije e Joe Angelo Menconi.
SINOSSI:
Nel mezzo del crollo della sua intera vita, Kennedy tenta in qualche modo di ristabilire un legame con il padre morto, cercando il permesso di vivere la propria vita attraverso una fuga spericolata fatta di tuffi da una piscina all’altra nelle sontuose proprietà della sua cittadina universitaria.
Non solo la studentessa universitaria Kennedy (Odessa A’zion) è in uno stato depressivo dovuto al lutto per la perdita del padre, che l’ha privata di una vita sociale e della voglia di andare a lezione, ma deve anche fare i conti con il torrido caldo estivo di Chicago. Con occasionali divagazioni filosofiche dello sceneggiatore/regista Sam Hayes sul contesto, Pools è sia una storia di crescita personale negli stati mentali più oscuri, sia una dichiarazione di affetto vivace per tutto ciò che riguarda Chicago (il film è ambientato a Lake Forest), riuscendo persino a infilare un paio di battute sui Bears di Mike Ditka.
È una combinazione strana, ma anche tenera, vedere Chicago e il suo clima caldo giocare un ruolo cruciale in una storia. Naturalmente, per sfuggire a quel caldo ci si tuffa in una piscina. Per la ribelle Kennedy, questo rappresenta una piccola sfida e offre anche qualche opportunità, radunando un piccolo gruppo di coetanei per fare un giro nel quartiere di Lake Forest, andare di piscina in piscina, evitare di essere visti e affrontare i guai legali che ciò potrebbe comportare.
A partecipare a questa ubriaca odissea natatoria ci sono la compagna di stanza universitaria Delaney (Ariel Winter), che vede in questa occasione la possibilità di riparare l’amicizia incrinata a causa del fatto che Kennedy si è isolata da tutti nel suo lutto; il secchione Blake (Tyler Alvarez), che vuole essere sua amico e pensa che allontanarsi dai libri per una notte e fare qualcosa di divertente per una volta potrebbe fargli bene; il robusto Reed (Mason Gooding), desideroso di dimostrare agli altri che non è il solito atleta tonto, soprattutto a Delaney, per cui ha una cotta; e infine Shane (Francesca Noel), che trova Kennedy strana ma si unisce perché le piace Reed. Se non fosse abbastanza, il film segue anche la giornata del tecnico dell’aria condizionata Michael (Michael Vlamis), che incrocia questi personaggi in modi che non verranno spoilerati.
E mentre le scene di nuoto sono riprese con serenità dal direttore della fotografia Ben Hardwicke (soprattutto sott’acqua), per Kennedy rappresentano qualcosa di più: da un lato sono il senso di libertà in un mondo che le chiede molto in circostanze tristi, ma assumono maggiore significato man mano che si scopre di più su di lei. Kennedy rischia anche di essere espulsa se non si presenta a lezione il giorno dopo (le sue assenze accumulate sono diventate così preoccupanti), dando alla notte un’importanza da romanzo di formazione: è la fine del lasciarsi andare e dell’essere, come lei stessa si descrive, una fallita.
Ciò che è frustrante è che, a circa 30 minuti dall’inizio del film, Sam Hayes sembra aver esaurito i modi per trarre materiale dal concetto. Questo porta il gruppo a introdursi in una delle case stravaganti (scoprono che i proprietari sono in vacanza), con quella parte della storia che perde la sua specificità e si trasforma in qualcosa di familiare riguardo a questi personaggi e alle loro relazioni, sovrastimando quanto il pubblico possa interessarsi a qualcuno al di fuori di Kennedy. E anche se Michael è un personaggio chiave nel terzo atto, è esagerato dire che il film debba staccarsi dall’atmosfera festosa e spensierata tra Kennedy e i suoi per concentrarsi sulla sua giornata disastrosa. Senza questa deviazione, tutto nel terzo atto funzionerebbe comunque e apparirebbe credibile grazie ai temi della storia e alle interpretazioni.
Questo senza contare che parte dell’umorismo del primo atto è imbarazzante, che si tratti di una preside che fissa un uomo attraente e la induce a sbagliare parlando allusivamente dei suoi desideri al telefono con Kennedy, o dei numerosi zoom fulminei che, pur essendo tecnicamente impressionanti, aggiungono una vena di eccentricità che non si adatta necessariamente alla storia. In un certo senso Sam Hayes probabilmente lo sa, dato che quello stile viene per lo più abbandonato una volta che iniziano le feste in piscina. Il film chiede inoltre una buona dose di sospensione dell’incredulità sul fatto che questi personaggi la farebbero franca introdottosi con effrazione in epoca moderna, quando proprietari benestanti come quelli avrebbero telecamere di sicurezza o immagini Ring (Weapons ce lo ha mostrato poche settimane fa), ma la sincerità che sottende la narrazione complessiva è sufficiente per sorvolare su questo.
In quello che alla fine si trasforma in un film sul come affrontare il lutto e perseguire passioni artistiche invece di una routine insoddisfacente, Odessa A’zion mantiene a galla Pools. A tratti il film sembra più adatto a essere un cortometraggio, ma c’è anche abbastanza solido lavoro sui personaggi e un uso efficace dell’ambientazione da impedirgli di prolungarsi oltre il necessario.
Valutazione Flickering Myth – Film: ★ ★ ★ / Movie: ★ ★ ★
Robert Kojder
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