
Recensione da Venezia: Tony Leung trova un legame con Flora in "Silent Friend" di Ildikó Enyedi
La regista ungherese Ildikó Enyedi è più nota per il suo film vincitore dell'Orso d'oro 2017 On Body and Soul, in cui una coppia improbabile di personaggi si incontra in un sogno e, sotto forma di cervi, si innamora. Questo vincitore della Berlinale, straordinariamente tenero, è, sotto molti aspetti, il precursore del nuovo film di Enyedi, nonostante nel mezzo ci sia stato The Story of My Wife (2021), un dramma in costume su una storia d'amore ossessiva con Léa Seydoux. Non che quest'ultimo sia irrilevante: il debutto in lingua inglese ha permesso a Enyedi di espandere i dettagli dei suoi mondi singolari oltre la lingua e di consolidarsi come autrice europea verso la quale gli attori si rivolgono. Mentre Silent Friend ha per protagonista l'indomabile Tony Leung (e anche Seydoux in un piccolo ruolo), la vera star di questo film è un albero di ginkgo. Se On Body and Soul era fauna, Silent Friend è flora.
Il professor Tony Wong (Leung) è un neuroscienziato che studia la coscienza nei neonati; l'apertura di Silent Friend mostra il suo esperimento mentre un casco EEG traduce i dati cerebrali in visualizzazioni spettrali che riempiono l'intero schermo. Si trova a Marburgo, in Germania, per presentare i suoi progressi a studenti e colleghi, ma ben presto il COVID-19 lo avrebbe confinato nel campus accanto a un ginkgo biloba secolare, il fulcro dei giardini botanici dell'università. All'inizio la narrazione sembra concentrata sulla coscienza e sulla percezione — la grande questione, tanto esistenziale quanto scientifica — ma quando il professore dice «la ricerca è solo una serie di tentativi per trovare metafore», si capisce che non si tratta di una versione filmica di un articolo peer-reviewed. In Silent Friend c'è scienza e c'è finzione, ma, per quanto riguarda la fantascienza, lo stile ricorda After Yang di Kogonada: discreto, tenero e molto ancorato alla realtà.
Tre linee temporali parallele percorrono Silent Friend, con il ginkgo come presenza costante — un oggetto di fascinazione e un osservatore silenzioso di vite private e pubbliche. Nel 1908, un mondo in bianco e nero su pellicola 35mm avvolge Grete (Luna Wedler), la prima studentessa dell'università, in un abbraccio stretto. La sua ammissione incontra delle resistenze, ma il suo genio persiste e lei dedica sempre più tempo alla ricerca sulle piante al di là della tassonomia. Inoltre, le pratiche analogiche di Grete (inclusa, a un punto cruciale, la fotografia) si concentrano sull'esterno — estetica, forme e sagome delle piante — non per una particolare fascinazione per le superfici, ma come un gesto di apprezzamento trascurato, dato che la scienza tende più a oggettivare che ad ammirare. Il direttore della fotografia Gergely Pálos (che ha già lavorato con Roy Andersson) non si affida all'effetto 35mm per modellare l'atmosfera dell'inizio del Novecento; piuttosto ci permette di vedere, attraverso gli occhi (e la visiera) di Grete, un mondo di meraviglia racchiuso in un solo cavolo. Nel passaggio al 1972, Pálos adotta un'estetica 16mm vivida e scintillante per trasmettere le possibilità della vita universitaria post-1969, dove il timido Hannes (Enzo Brumm) si innamora di una ragazza e del suo geranio.
Gli esseri umani in Silent Friend sono messi in umiltà quando finalmente accettano la falsità del loro dominio. Se le piante ci osservano come noi le osserviamo, cosa vedono? Pur non ponendo direttamente la domanda, la narrazione tripartita del film vi ritorna più e più volte. Insieme a Pálos, la regista ungherese potrebbe aver appena inventato una nuova grammatica cinematografica che decentra il volto umano — decisamente, l'attenzione prolungata verso il ginkgo (l'effettivo protagonista) richiede un nuovo modo di guardare, liberato dalla prospettiva antropocentrica della macchina da presa. Che cos'è, allora, un primo piano di un albero? È un'inquadratura ravvicinata del tronco, o della corteccia che lo ricopre? Un ramo? Le foglie? O una singola foglia? Pálos prova tutte queste soluzioni, familiarizzando la macchina da presa con la fisiognomica del ginkgo così bene che persino un'inquadratura ampia risulta potente quanto un primo piano di un volto.
Immergersi nello stupore di Silent Friend è come accettare un dono gioioso, anche se in definitiva non si crede che le piante possano o vogliano comunicare con noi. Con la sua nuova opera squisita, Ildikó Enyedi ha raggiunto l'improbabile obiettivo di creare un cinema non umano e al tempo stesso umanistico, inclusivo e riverente senza cadere nell'idolatria (delle piante) o nella condanna (degli umani). Forse è questo ciò che il cinema ecologico del futuro dovrebbe essere: una tenera storia d'amore tra specie (umani e piante, o cinema e pubblico).
Silent Friend ha fatto il suo debutto alla Mostra del Cinema di Venezia 2025.
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La regista ungherese Ildikó Enyedi è meglio conosciuta per il suo film vincitore dell'Orso d'oro 2017, On Body and Soul, in cui un'improbabile coppia di personaggi si incontra in un sogno e, sotto forma di cervi, si innamora. Questo vincitore della Berlinale, straordinariamente tenero, è, sotto molti aspetti, il precursore del nuovo film di Enyedi, nonostante il fatto che nel frattempo sia uscito The